Nati per consumare, cresciuti per produrre, orientati al successo sfruttando la capacità in cui siamo bravi. È questa la trama della storia che ci viene raccontata: noi non scriviamo nulla, leggiamo ansiosamente le istruzioni per l’uso e le eseguiamo secondo tempi che non abbiamo scandito, modalità che non ci appartengono.
Questo perché ci insegnano che bisogna trionfare nella vita, pena l’agonia del fallimento.
Quello che la società non ci insegna è il coraggio di cambiare strada, di esplorare quello che ci circonda e di provare più volte quello che all’inizio non ci viene bene. La società non ci insegna la possibilità di darsi un’opportunità. Un’opportunità che si basi sulla capacità di non crearsi limiti e barriere, sull’impegno costante di chi vuole migliorarsi.
Il mito del talento è solo una suggestione collettiva.
Il talento non è lo scopo dell’esistenza, ma lo strumento con cui esprimere la propria personalità, il mezzo con il quale percorrere la strada scelta. I “geni” della storia, i campioni sportivi non hanno raggiunto i loro obiettivi con delle doti innate, ma con l’allenamento e la dedizione, impiegando ore a perfezionarsi.
Mozart impiegò dieci anni per la sua composizione concerto n°9 k 271, considerata un capolavoro.
Ray Allen, miglior tiratore da 3 punti nella storia dell’NBA, riferì in un’intervista: “Quando dicono che Dio mi ha donato un tiro in sospensione perfetto, vado su tutte le furie e ribatto: non sminuire l’impegno che ci metto ogni giorno. Chiedete a chiunque sia stato in squadra con me, chiedete chi si allenasse di più…”.
Con l’impegno costante e la giusta motivazione si è in grado di fare cose che fino ad allora sembravano impensabili. Ed è per questo che non cerchiamo talenti ma persone pronte a darsi un’opportunità: siamo il punto di connessione tra la persona e l’azienda, il ponte tra l’impegno e l’opportunità, la penna per scrivere un’altra storia, insieme.